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Analisi di una dimissione

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“Un fulmine a ciel sereno”. Emblematica è la foto tratta dall’homepage di Repubblica.it, nel giorno in cui Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, annuncia le sue dimissioni previste per le ore 20 del 28 febbraio 2013. Una notizia storica in una data storica, che giornalisticamente parlando avrei tanto voluto essere io a dare. Pur nell’inesperienza dei miei 25 anni mi rendo infatti conto della portata epocale di tale evento, che inevitabilmente ha trovato riflesso nei media di tutto il mondo sin dai primissimi momenti.

Fulmine su Piazza San Pietro nel giorno in cui Papa Ratzinger annuncia le dimissioni (foto: LaRepubblica.it)

Fulmine su Piazza San Pietro nel giorno in cui Papa Ratzinger annuncia le dimissioni (foto: LaRepubblica.it)

Ma andiamo con ordine. Sono le 11.46 mentre nell’intimità della mia camera, intenta a ripetere caratteristiche e funzioni del Sistema Operativo per l’imminente esame di Informatica, la routine del pianeta è sconvolta da queste parole.

“Carissimi fratelli, vi ho convocato a questo concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”.

Le tre canonizzazioni in questione sono quelle dei martiri d’Otranto, e le parole pronunciate rigorosamente in latino squarciano il Vaticano come il fulmine della foto. Non a caso, “fulmine a ciel sereno” è l’espressione usata anche dal decano del collegio cardinalizio, cardinale Angelo Sodano. A quel punto non ho potuto far altro che interrompere i miei studi per buttarmi a capofitto in un momento più unico che raro.

Il tam tam mediatico si fa subito rumorosissimo. Tra i primi a dare la notizia il quotidiano francese Le Figaro, il quale accenna ad alcuni problemi di salute del Pontefice (non confermati, ma neanche smentiti) che potrebbero averlo spinto verso tale decisione. A seguire, NYT, BBC, CNN, Guardian, e anche Al Arabiya. Universale, poi, il titolo dello spagnolo El Paìs: “El Papa renuncia”. Inevitabile lo stravolgimento dei palinsesti televisivi con dossier, ipotesi sull’immediato futuro e l’immancabile Porta a Porta di Bruno Vespa, che non escludo esibisca in questi momenti un plastico della Cappella Sistina o di Castel Gandolfo. Le parole del giorno sono ‘shock’, ‘sgomento’, ‘stupore’, ma anche – e soprattutto – ‘rispetto’ per questa decisione. Ed è su quest’ultima che credo valga la pena di fare qualche breve riflessione.

Alcuni sostengono che il Pastore Tedesco avrebbe dovuto rimanere in carica fino alla fine del suo mandato, proseguendo sulla scia del Papa polacco rimasto fino all’ultimo, sofferente, inerme, rassegnato alla sua malattia. “Dalla croce non si scende”, ha affermato nel pomeriggio Stanislaw Dziwisz, cardinale di Cracovia nonché ex segretario di Giovanni Paolo II. Tanti altri pare invece abbiano compreso, in un certo senso, la scelta del Papa di ritirarsi, una scelta che ha messo in risalto più ‘la persona’ che ‘l’autorità’. Il pontificato di Joseph Ratzinger si è svolto, per certi aspetti, sotto una bolla di riservatezza molto più marcata rispetto a quello del suo predecessore Giovanni Paolo II, il Papa comunicatore, viaggiatore, amico fraterno e inevitabile termine di paragone. Io stessa, nell’aprile del 2005, avevo accolto l’elezione del nuovo Pontefice come una novità dettata dal fatto di non aver mai vissuto nulla di simile (sono infatti nata e cresciuta con Karol Wojtyla), ma fine a sé stessa. Lo riconosco. Il gesto odierno, ovviamente plateale, ma di una platealità non forzata, credo possa aprire a un nuovo modo di vedere le cose, di intendere la Chiesa. In un’era nella quale molti sono stati gli scandali che hanno coinvolto la Santa Romana Ecclesiae – da Vatileaks agli abusi sui minori da parte di alcuni preti – il successore di Pietro potrebbe semplicemente essersi reso conto di trovarsi in una situazione troppo grande da gestire. Essere Papa non significa occuparsi soltanto di Città del Vaticano, ma vuol dire essere a capo di una tra le più grandi organizzazioni al mondo, essere un modello per tanti, in qualche modo. Una condizione che può rivelarsi insostenibile per un anziano e ormai stanco teologo.

Questo Papa passerà alla storia certamente per questo gesto di grande impatto, compiuto però senza prepotenza alcuna, che a mio modesto avviso conferma la sua nomea di uomo dal “pugno di ferro in un guanto di velluto”. In modo forte, ma al contempo gentile, Joseph Ratzinger si ferma resosi conto di non poter più andare avanti. Non mostra timori nel manifestare i suoi limiti di uomo terreno, limiti che chiunque di noi avrebbe paura a sottolineare di fronte a un grande incarico e che diventerebbero, automaticamente, come un bersaglio luminoso. Ecco perché capisco chi parla di ‘rispetto’ verso questa decisione, e la rispetto di conseguenza.

Non si sa cosa accadrà adesso, chi sarà il successore, quali correnti si respireranno nei corridoi del Vaticano, se si avvereranno o meno le profezie catastrofiste su un possibile Papa nero che ci traghetterà dritti dritti alla fine del mondo: si sa solo che entro Pasqua dovremmo avere un nuovo uomo vestito di bianco sul soglio dell’apostolo Pietro.

L’unica certezza è di stare vivendo un momento irripetibile, la fine di un’era di transizione per la Chiesa romana che interesserà cattolici, laici, ebrei, islamici, persino gli atei secondo me. Chissà che qualcuno non trovi un collegamento con la “rivelazione sconvolgente” che avevano predetto i Maya nella loro profezia: strano che nessuno ci abbia ancora pensato.



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